La costruzione del Monastero di San Daniele risale agli anni 1076-1079. Affidato inizialmente a una comunità di Monaci Benedettini, l’edificio passò alla fine del ‘400 ai Canonici Regolari del S. Salvatore che vi risiedettero fino al 1771, anno in cui venne acquistato dalla famiglia Todeschini di Venezia. Dal 24 maggio del 1948 l’antico monastero è ritornato ad essere casa di preghiera, ospitando una comunità di Monache Benedettine, proveniente da Fiume.
Si datano agli ultimi decenni del XI secolo le prime testimonianze storiche dell’esistenza dell’edificio, fondato dai signori Montagnon per onorare la memoria del santo martire Daniele, le cui ossa vennero rinvenute il 26 dicembre 1075 scavando sotto il pavimento della chiesa di Santa Giustina a Padova.
Il Monastero venne affidato dai fondatori a una comunità di monaci benedettini. Nel corso del Trecento, la grave crisi spirituale, che interessò tutta Europa a seguito dello scisma d’Occidente, investì anche la comunità di San Daniele che, a causa della mancanza di vocazioni, venne soppressa nel 1460 da papa Pio II, dopo vari tentativi di rivitalizzazione.
Ai monaci benedettini succedettero i Canonici Regolari di San Salvatore di Venezia che presero possesso del colle nel 1461. Nel ‘500 i canonici si impegnarono nella demolizione dell’antico monastero e nella sua ricostruzione secondo i criteri e il gusto dell’epoca. Dopo un periodo di crisi spirituale dovuta al rilassamento della disciplina regolare, tra la fine del ‘600 e gli inizi del ‘700, il monastero rifiorì grazie a una serie di riforme. In questo clima di generale rinascita si colloca il restauro edilizio dell’abbazia che previde non solo il risanamento degli locali monastici ma anche la realizzazione di opere di abbellimento come la costruzione della chiesa, piccolo gioiello architettonico ideato dall’architetto palladiano Francesco Muttoni di Vicenza.
Sulla scia delle soppressioni degli Istituti religiosi, il 12 settembre 1771 un decreto portò alla vendita all’asta dei beni dei canonici che vennero acquistati dall’avvocato Federico Todeschini di Venezia. La proprietà divenne la dote della figlia Elisabetta, unica erede del casato, quando andò in sposa al conte Bartolomeo Bonomi nel 1832. All’edificio monastico vennero apportate alcune modifiche per renderlo una comoda ed elegante dimora estiva. Con la seconda guerra mondiale la famiglia Bonomi subì un tracollo finanziario: la villa-castello venne persa al gioco d’azzardo a favore della famiglia Pescarin di Montagnana.
L’edificio, nato con una vocazione religiosa, ritornò alla sua originaria funzione nel 1948 quando vi si insediarono le monache benedettine di Fiume. Gli anni seguenti, fino al 1958, furono frenetici per i lavori di sistemazione e manutenzione dei locali per adattarli alle necessità e allo stile di vita regolare della comunità.